Venerdì mattina, GameStop ha sorpreso l’industria dei videogiochi annunciando la chiusura di Game Informer e il licenziamento di tutto il personale. La catena di vendita al dettaglio ha comunicato la notizia tramite un post sul suo account X (ex Twitter) ora rimosso, dichiarando: “Dopo 33 anni entusiasmanti dedicati a portarvi le ultime novità, recensioni e approfondimenti dall’incredibile mondo dei videogiochi, ci dispiace annunciare la chiusura di Game Informer. Dalle prime avventure in pixel fino ai moderni mondi virtuali, è stato un onore condividere questo viaggio con voi, nostri fedeli lettori. Anche se le nostre stampe si fermeranno, la passione per i videogiochi che abbiamo coltivato insieme continuerà a vivere. Grazie per aver fatto parte della nostra epica avventura, e che le vostre stesse avventure videoludiche non finiscano mai.”
Un’epoca che finisce
Game Informer ha vissuto il suo periodo d’oro negli anni ’90 e 2000, diventando parte dei ricordi di molti videogiocatori. Personalmente, ricordo con affetto i momenti in cui correvo verso gli scaffali delle riviste per acquistare ogni magazine dedicato ai videogiochi, e Game Informer era sempre in cima alla lista.
Negli anni successivi, da giovane adulto e aspirante giornalista di videogiochi, ho deciso di abbonarmi alla rivista con i guadagni del mio lavoro, per supportare i miei colleghi. Ogni numero che arrivava per posta mi faceva apprezzare non solo gli articoli sui giochi, ma anche le splendide illustrazioni che decoravano le copertine. La creatività e la passione di questa pubblicazione erano ineguagliabili, un modello per molti nel settore, me compreso.
Ricordi di chi ha vissuto Game Informer
Per onorare Game Informer, abbiamo chiesto a sviluppatori, giornalisti e professionisti del settore videoludico di condividere cosa significasse per loro la rivista.
Mike Towndrow, direttore creativo di Six One Indie, ricorda: “Il titolo ‘STAR FOX LEADS THE GAMECUBE INVASION’ è rimasto impresso nella mia mente. Game Informer è stato un punto di riferimento nella mia vita, un rifugio che ha alimentato la mia passione per i videogiochi. La rivista è sempre stata presente e ha acceso in me il desiderio di realizzare showcase per giochi indie.”
Giovanni Colantonio, senior gaming editor di Digital Trends, sottolinea l’importanza della rivista durante la sua crescita: “Game Informer era indispensabile per un giovane appassionato di videogiochi, offrendo critiche incisive e accesso esclusivo a giochi che aiutavano a comprendere meglio un settore spesso misterioso.”
Dave Oshry, CEO di New Blood Interactive, esprime la sua tristezza per la chiusura: “Vedere il proprio gioco in Game Informer era un sogno, e ora non avremo mai la possibilità di essere in copertina. Riposa in pace, Game Informer.”
Un addio sentito
Cassidy Landers-Gonzales, game designer di Toys For Bob, condivide il suo dispiacere: “La chiusura di Game Informer è una grande perdita per la comunità videoludica. La rivista univa i lettori, e il lavoro e la dedizione della redazione significavano molto per noi appassionati.”
Matt Korba, presidente di The Odd Gentleman, ricorda come Game Informer abbia aiutato il suo team a farsi notare nel settore: “Era un onore ricevere copertura dalla rivista; per noi era una risorsa fondamentale.”
Haley McLean, avvocato nel settore videoludico, parla dell’impatto che Game Informer ha avuto sulla sua carriera: “Essere un tirocinante lì ha cambiato la mia vita. È frustrante vedere una voce così rispettata sparire.”
Un’eredità duratura
Kris Dürschmidt, CEO di Crazy Viking Studios, ricorda i momenti passati con la rivista: “Game Informer ha sempre rappresentato un legame speciale. I miei bambini, appassionati di videogiochi, amavano leggere le riviste.”
Joseph Stanichar, ex tirocinante, riflette sulla qualità e le aspettative della redazione: “Lavorare lì mi ha insegnato molto, e il mio sogno era avere un giorno un gioco sulla copertina.”
Shaan Joshi, sviluppatore di videogiochi, conclude affermando: “Game Informer era un faro nella cultura videoludica. La sua chiusura è un duro colpo, un segno di quanto poco venga valorizzato il giornalismo tradizionale nel nostro settore.”